venerdì, dicembre 25, 2009

Tutti colpevoli nessun colpevole



È un vecchio trucco, e di trucchi il direttore del Gionale, Vittorio Feltri, se ne intende. Dimenticando che i parlamentari italiani non hanno vincolo di mandato e possono, una volta eletti comportarsi secondo coscienza, l'ultrà della PDL, Vittorio Feltri appunto, fa pubblicare un'articolessa che nelle intenzioni intende sputtanare chi non accetta la Fede cieca nel capo. Una vaccata, visto che, se è vero che molti debbono tutto a Berlusconi che si è portato persino la prima moglie dall'Oglio in parlamento (come d'altronde fatto dall'inutile PD), è anche vero che, a parte gli incapaci, altri vogliono magari cercare di pensare con la propria testa. Mica possono essere tutti Bondi o la bellissima e inutile ministra Carfagna.


Paolo Bracalini per Il Giornale




Fenomenologia del miracolato poi azzannatore in tre semplici mosse: fase 1) giurare eterna fedeltà al Miracolante, riconoscendolo come unico Nume democratico, così da accaparrarsi per grazia ricevuta poltrone e nomine altrimenti irraggiungibili.


Fase 2: una volta miracolati, manifestare segni di insofferenza e malessere in coincidenza di eventuali presunti cicli calanti del Miracolante o di favori chiesti ma non soddisfatti, segnali prima lievi, poi sempre più ossessivi e perturbanti qualora il suddetto appaia in seria difficoltà o prossimo al disarcionamento (sottoregola elementare: iniziare un petting spinto con l'opposizione riconoscendola come Garante della democrazia).


Fase 3: mollare il Miracolante riconoscendolo come unico vero pericolo per la democrazia, rimanendo in attesa di eventuale disarcionamento e di nuove prebende dall'altra parte politica.

La terza fase del miracolato già berlusconiano poi antiberlusconiano prevede spesso una variante, la formazione di un partitucolo a se stante, meglio se di area contigua a quello del Miracolante già benefattore poi misconosciuto. È capitato a molti ma non è destino da augurare ad alcuno. Se almeno li mettessero insieme, in un Pdm, Partito dei miracolati (da Silvio), potrebbero aspirare a uno zero virgola qualcosa non periodico.


Unendo, per dire, la Lega Italia di Carlo Taormina, il Partito liberale di Paolo Guzzanti, l'Italia di Mezzo di Follini, quel che resta dei Repubblicani di La Malfa e altre schegge impazzite. Ma sarebbe comunque poca cosa. L'approdo naturale e più promettente per il miracolato senza riconoscenza, se non è il Quirinale come forse sogna Gianfranco Fini (il primo degli irriconoscenti), non può che essere l'Udc, fucina di berlusconismo d'occasione sempre prossimo al voltafaccia.


Pier Ferdinando Casini è il loro leader putativo, li ha traghettati fuori e dentro il centrodestra con l'abilità di un velista di Alinghi, mantenendo la barra dritta sull'unico punto fermo nelle acque malfide della politica: la convenienza. Da alleato di Berlusconi giurava che mai avrebbe appoggiato il centrosinistra, adesso flirta col centrosinistra e su Berlusconi parla come un Di Pietro.



È lì nell'Udc che si annidano tanti miracolati del Cavaliere oggi spietati accusatori del medesimo. Michele Vietti è stato eletto membro del Csm con il centrodestra, sottosegretario alla giustizia e sottosegretario alle Finanze, sempre nei governi Berlusconi, ma adesso quello stesso Vietti è mortalmente imbarazzato dalla politica del Cavaliere sulla giustizia e sull'economia. La stessa che rappresentava lui da sottosegretario.


Sempre nell'Udc c'è un altro veterano del cambio di casacca, Ferdinando Adornato, comunista pentito approdato in Forza Italia, miracolato da Berlusconi con un seggio in Parlamento, a forza di girare su se stesso («Un circumnavigatore della politica: a sinistra faceva il destro, a destra il sinistro» ha scritto L'Espresso) ha finito con l'accorgersi soltanto dopo che la cultura liberale italiana non è nel centrodestra inventato da Berlusconi, ma nell'Udc. Giusto in tempo per avere un seggio alla Camera. Ancora lì, nell'Udc, c'è Rocco Buttiglione, fatto per due volte ministro da Berlusconi ricambiato dal filosofo con suprema irriconoscenza, visto che ora non serve.

Ma siccome chi cambia casacca una volta è difficile perda l'abitudine, può capitare che un partito, persino l'Udc, riceva il trattamento riservato agli altri. È il caso di Marco Follini, prima udiccino berlusconiano, poi udiccino antiberlusconiano, poi non più udiccino ma piddino. Fu promosso addirittura vicepremier da Berlusconi nel 2001, salvo poi accorgersi a fine legislatura di non essere più d'accordo con Berlusconi praticamente su niente.

Eppure era lo stesso identico Berlusconi che lo aveva miracolato ai vertici del governo, cos'era cambiato? Solo le probabilità di riconferma del centrodestra alle successive elezioni (in effetti vinte da Prodi). Ma Follini, soprannominato il «doro-moroteo» per il talento democristiano di conciliare gli inconciliabili (purché convenga), avrebbe poi fatto lo stesso con Casini, suo leader poi scaricato (a favore dell'allora più seducente Pd) perché «abbaia molto ma non morde mai». Una definizione perfetta per Follini.

La categoria, variegata, meriterebbe uno studio psicologico ad hoc, anche per riconoscerli prima che si esibiscano nell'impresa che gli riesce meglio. Un ex berlusconiano ora sputtanatore massimo del suo precedente amore è Paolo Guzzanti, già senatore forzista e presidente di Commissione parlamentare, a caccia dei comunisti che minacciano la democrazia assicurata in Italia solo dalla presenza di Berlusconi, ora teorizza il berlusconismo come puro modello di «mignottocrazia». Nella quale, in effetti, proliferano e si moltiplicano gli sfruttatori.

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