lunedì, luglio 14, 2008

Giudizi




Nessuno lo può giudicare
di Edmondo Berselli per l'Espresso

Una norma incostituzionale. Le regole della democrazia stravolte. Così Berlusconi si garantisce l'impunità. E al Paese regala le solite promesse, tra inutili Robin Tax e Social card


Per dire la verità, la semplice e banale verità, non sarebbero necessari 120 costituzionalisti di chiara fama; non ci vorrebbero moltitudini di studiosi per stabilire accademicamente che il cosiddetto lodo Alfano è la solita puzzonata targata Arcore. Semmai fanno specie gli altri 30 o 31, anche loro sommi specialisti di affari costituzionali, i quali invece dicono che insomma, tutto considerato, valutate le circostanze e le attenuanti, il lodo si può fare.

A chiarire e sistemare le cose basterebbero alcuni semplici quesiti, roba infantile. Tanto per dire: per quale motivo dovrebbero essere tutelate le prime quattro cariche dello Stato, e non le prime cinque, sei, sette, otto? Se c'è una minaccia giustizialista e l'assalto dei pm, non sarebbe il caso di mettere al riparo dai tribunali il presidente della Corte costituzionale, carica delicatissima, o il presidente dell'Antitrust, mandato decisivo e vulnerabilissimo nell'economia di un libero mercato assediato da monopolisti? E non sarebbe il caso di valutare con estrema attenzione il fatto che in una democrazia funzionante andrebbe garantito e protetto il capo dell'opposizione, ben più che il capo della maggioranza? Per fare un esempio specioso, ammettiamo che domani il presidente del Consiglio si stizzisca per le punzecchiature di Veltroni, e gli scateni contro i suoi avvocati-deputati come il suo personale ministro ombra, l'infallibile e impagabile 'Nick' Ghedini. C'è o ci sarà un qualche lodo Alfano che possa proteggerlo?

E infine: è dato di sapere, una buona volta, come si può conciliare l'uguaglianza costituzionale dei cittadini di fronte alla legge e la disuguaglianza 'de jure atque de facto', come nelle corti barocche, stabilita lì per lì, attraverso la legge ordinaria redatta da un valvassore? A cui si aggiunge l'ipocrisia suprema,
il lodo per le quattro cariche, di cui tre non se ne fanno e faranno nulla, mentre uno ne ricaverà nientemeno che il salvacondotto, al quale il sire ambiva da 14 anni, dai tempi di Tangentopoli e del suo primo sfigatissimo governo.

Eccoci qua, al salvacondotto. Al codicillo proposto da Antonio Polito sul 'Riformista', giusto in tempo per essere bacchettato da Eugenio Scalfari (attraverso l'icastica figura del "prolasso etico"); ma che è una tentazione ricorrente dell'Italia pragmatica, quella che non vuole restare sequestrata dal dibattito sui guai giudiziari di Berlusconi e sulle misure da lui volute per sistemare la mordacchia ai pubblici ministeri e ai giudici. Quell'Italia che ha sempre pensato: mettiamoci infine una pietra sopra, ai pasticci penali del Cavaliere, e proviamo se in questo modo diventiamo un paese normale.

Sono le storie impossibili di una singolare e schizofrenica Italia fondamentalmente conservatrice e di destra, quella che secondo Renato Mannheimer manda in alto il consenso a Berlusconi proprio per il suo conflitto con i giudici, e al contrario, secondo Ilvo Diamanti, lo manda giù, guardando alla situazione generale. Un'Italia che comunque è vicina a una risultato praticamente definitivo: quello di vedere eliminata qualsiasi insidia giudiziaria o penale sul cammino del divo Berlusconi (a proposito del 'divo': anni fa, Giulio Andreotti scriveva in uno dei suoi aforismi sul potere: "Le sentenze non si discutono, si appellano". Altro stile, altra classe).

Mentre dunque si prepara un'Italia di bramini intoccabili, diversa dai semplici cittadini, orwellianamente "più uguale degli altri", sarà opportuno ripensare a ciò che è successo in questo esordio di legislatura. In prima istanza Berlusconi e i suoi avvocati hanno lanciato la proposta insensata e caotica del provvedimento "blocca processi", insieme con un polverone mai visto sulle intercettazioni, per mostrare come Berlusconi fosse vittima del gossip giudiziario.

Fra l'altro, stupisce che non ci sia nessuno che si chieda come mai un uomo schiacciato dal lavoro come il Cavaliere trovi il tempo di raccomandare soubrette alla concorrenza, con telefonate lunghissime, defatiganti, e di occuparsi di carriere femminili con un'assiduità che dimostrerebbe più che altro una ingente disponibilità di tempo, e la pazienza di affrontare colloqui telefonici con Saccà e gli altri (d'altra parte, non sembra sia stata smentita la vicenda di re Silvio che compra un set di coltelli a una televendita notturna: la prossima volta che ci racconta la favola delle notti in bianco a lavorare, siamo autorizzati a prenderlo a pernacchie: se ne sta lì con il pollice su telecomando, altroché).

Ma per tornare al punto, quando la tensione, anzi, il conflitto fra le istituzioni è diventato insostenibile, con seri rischi di una slabbratura che investiva gravemente il Quirinale e giustificava le manifestazioni di piazza a difesa della Costituzione, i prestigiatori del Pdl sono riusciti nel capolavoro di presentare un'ipotesi odiosa di baratto come una mediazione politicamente civile. Via il fermaprocessi in cambio del lodo Alfano sulle quattro cariche. Una vergogna totale sostituita da una vergogna parziale. Per chi ama il male minore, una mediocre festa del realismo. Per i realisti, una rivincita della politica, rispetto alle usurpazioni del potere giudiziario. E se qualcuno dell'opposizione obietta, gli viene risposto che con i giustizialisti non ci può essere il 'dialogo'.


Il premier al G8 di Tokyo Ma in realtà anche il 'dialogo' appartiene alla categoria dei miti, delle mitologie, delle leggende e delle manipolazioni. Dicono gli intimi che il premier si imbufalisce se qualcuno osa parlare di una sua "mugabizzazione". Eppure il via libera al lodo Alfano in cambio del bloccaprocessiassomiglia molto alle soluzioni precotte per lo Zimbabwe, con la richiesta mediatoria di un governo di unità nazionale dopo che Robert Mugabe ha fatto tutto il possibile e anche l'impossibile per truccare le elezioni. Oltretutto, per una di quelle coincidenze clamorosamente beffarde che la storia talvolta offre, al G8 di Tokyo Berlusconi è riuscito in un altro dei suoi capolavori in politica internazionale, prima opponendosi alle sanzioni contro il dittatore Mugabe e i suoi brogli, e poi approvandole con una tardiva alzata d'ingegno, in seguito alle "considerazioni degli altri paesi": quando si dice la fermezza.

Il Mugabe 'de noantri' sta riuscendo nella sua strategia di sottrarsi alla morsa della magistratura, e per completare questo prodigio inaugura una specie di 'demokratura', un misto di democrazia e dittatura alla Putin, apparentemente tollerante, che però distorce le regole della democrazia, intanto che tutti i suoi famigli applaudono, o al massimo manifestano obiezioni flessibili, e poi applaudono di nuovo non appena si prefigura il 'compromesso', cioè l'imposizione in cambio del male peggiore.

Ma non è così, le cose non vanno bene, almeno sotto il profilo di una democrazia decente. A Palazzo Chigi c'è il 'Joker' che manipola le regole accusando le solite toghe di voler ribaltare il risultato elettorale; intorno a lui una corte di fantasisti che giocano col fuoco. Già, perché mentre Berlusconi e la sua corte di insigni giuristi stanno stravolgendo le regole per imporre leggi canaglia, i suoi ministri lavorano alacremente per migliorare l'Italia.

Non dovrebbe essere sfuggito il flop catastrofico della cosiddetta Robin Tax, che come era prevedibile e previsto finirà in un cassetto senza dare un centesimo di gettito (a parte i 200 milioni di euro messi volonterosamente a disposizione del governo da parte di Paolo Scaroni per conto dell'Eni: una decisione inspiegabile su cui qualche azionista farebbe bene a chiedere chiarimenti). E a questo punto, che ne sarà della 'social card' per gli anziani e i poveri, quella che doveva assicurare ai miserabili, ai vecchi, la bellezza di un euro al giorno? Si è capito o no che si è giocato sulla pelle degli ultimi? Qualcuno si sveglierà, finalmente?

Non ci vuole molto a comprendere la situazione, semplicemente applicando le categorie della politica più tradizionale. Nonostante tutte le bugie e le dichiarazioni più enfatiche, il governo Berlusconi si appoggia su una maggioranza che non ha una cultura comune di governo. Lo si era detto in campagna elettorale, allorché non si riusciva a capire come potessero stare insieme la Lega che vuole i soldi al Nord e Raffaele Lombardo che pretende aiuti per il Sud. Ma adesso appare in tutta chiarezza che il governo Berlusconi è una compagine di fissati: c'è quello ossessionato sulle impronte digitali, quell'altra che ha la mania dei grembiuli a scuola, il tale che vuole licenziare tutti i fannulloni della pubblica amministrazione. E così via.

n questa situazione, andrebbero ribadite alcune piccole realtà che sfuggono a chi si occupa di massimi sistemi costituzionali e che parla di 'guerra civile' in atto. In primo luogo: la presunta guerra civile non è stata innescata dall'opposizione, bensì da provocatorie iniziative del governo. Non è il caso di chiamare con il titolo di guerra civile una normale e democratica reazione alle distorsioni di re Silvio. Secondo: entriamo nei particolari e vedremo che le fantasmagoriche iniziative del governissimo di Berlusconi aumentano tendenzialmente il peso fiscale (proprio così, gli ex liberisti fautori della curva di Laffer hanno abbandonato qualsiasi velleità di tagliare le tasse), anche se lavorano alacremente per ricostituire i margini di evasione delle corporazioni che possono ricorrere al nero, e al ricatto dell'Iva sui clienti.

Date queste condizioni, è difficile pensare a ostruzionismi o peggio all'Aventino. Il governo Berlusconi scenderà sulla terra soltanto dopo l'estate, quando gli italiani, di ritorno dalle ferie, si renderanno conto che sono stati imbrogliati. Al primo temporale di settembre, andremo a controllare gli indici di consenso. Nel frattempo, allacciamo le cinture.

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